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15 aprile 2020

Dall'emergenza alle priorità: Danilo De Anna

Il ruolo della tecnologia al tempo del social distancing

Danilo De Anna, Corporate Financial Analyst presso Proactiva Consulting

Un mese. Ecco quanto ci è voluto per stravolgere la vita di tutti, per rendere normale quello che fino a qualche tempo fa sembrava follia. E all’improvviso le mamme impongono ai propri figli di non uscire e magari, come alternativa, giocare con i videogiochi. E all’improvviso i social network non sono più dei fenomeni alienanti da demonizzare ma diventano uno strumento, tra l’altro tra i più efficaci, per mantenere contatti con le altre persone e per non sentirsi soli. E all’improvviso lo smart working non è più semplicemente uno strumento per ottimizzare l’utilizzo degli spazi comuni ma diventa l’unico modo per salvaguardare la produttività.

In un recente studio dell’università Harvard si ipotizza, alla luce dei risultati di un modello matematico, che le misure di distanziamento sociale potrebbero, eventualmente ad intermittenza e con diversi gradi di rigore, essere necessarie fino al 2022 per contenere la crisi da COVID 19. Di similare avviso sono altre prestigiose voci nel mondo scientifico come quella del giornale Nature, che addirittura preferisce non esprimersi relativamente ad una stima sulla potenziale durata di questa tipologia di misure. In ogni caso, il mondo scientifico sembra essere concorde sulla necessità di proseguire con le misure di distanziamento sociale, viste, insieme alla ricerca medica, come unico antidoto al male che ci consuma e che, purtroppo, continuerà nel prossimo futuro a consumarci.

Social distancing is here to stay.
Alla luce di quanto illustrato, appare a mio avviso improrogabile una profonda riflessione sociale sul ruolo che la tecnologia dovrà giocare in questo periodo. Una riflessione che sia razionale, equilibrata e pragmatica, improntata al miglioramento degli strumenti tecnologici a nostra disposizione e che, mai come oggi, sia funzionale ad una vita “digitale” sempre più armoniosamente integrata all’interno della nostra quotidianità sociale.

Mi piacerebbe, a tal proposito, lanciare degli spunti di riflessione su due tecnologie che stanno caratterizzando la mia vita in questo periodo di distanziamento sociale, e partirei proprio da quella tecnologia che tutti, in un modo o nell’altro, stiamo utilizzando in questi tempi anomali: i social network.

I social network hanno visto negli ultimi anni un trend interessante, a mio avviso, dal punto di vista della percezione mediatica dello strumento. Se da un lato negli ultimi anni abbiamo assistito all’inarrestabile ascesa dei vari Twitter, Instagram, TikTok e al consolidamento degli evergreen come Facebook e Whatsapp, direttamente proporzionale è stata la critica rivolta agli stessi da parte di una platea sempre più nutrita e variegata. Accuse di scarsa utilità, assuefazione, diffusione di fake news, amplificazione di ideologie razziste e sessiste sono state a più riprese scagliate nei confronti di questi strumenti.

In questi giorni, tuttavia, i social network sono la nostra unica finestra sul mondo, la nostra unica opportunità di interazione in un momento nel quale anche 300 metri diventano una distanza proibitiva, e consentono sia alle istituzioni che a chi ha influenza su molte persone di lanciare messaggi di responsabilità e campagne solidali.

Convincendosi alla luce di questa situazione, come ritengo ormai inevitabile, che i social network fanno parte della nostra vita ed in alcuni casi riescono anche ad arricchirla, sorge spontaneo l’interrogativo su quale sia il rapporto che deve legarci, sia in quanto singoli individui che in quanto comunità, a questi strumenti.

Per predisposizione personale, ritengo che la demonizzazione di qualsiasi cosa risulti nel medio/lungo termine inutile o, ancor peggio, dannosa. Ritengo altresì improbabile che i fenomeni negativi che vengono imputati ai social network, in precedenza parzialmente elencati, possano essere del tutto debellati. Cosa rimane dunque? L’educazione.

A mio avviso, questa situazione di distanziamento sociale, nella quale l’utilizzo dei social diventa imprescindibile elemento della vita di comunità, dovrebbe essere utilizzata per trarre spunti su come educare gli individui ad un utilizzo di questi strumenti che, quando torneremo ad una vita sociale normale, le sia complementare e la arricchisca in maniera “sana”.

La tematica dell’educazione apre tra l’altro anche alla seconda tecnologia che sta rompendo la monotonia della mia vita in questi giorni di distanziamento sociale: lo smart learning e lo smart working e le piattaforme ad essi dedicate.

Un paio d’anni fa, durante un colloquio di gruppo per un posto da consulente aziendale, gli esaminatori ci proposero un business case nel quale l’obiettivo era cercare di analizzare le implicazioni non ovvie di alcune tecnologie recenti, ed al mio gruppo toccò la Realtà Virtuale. Quasi tutti e quasi subito concordammo sul fatto che una potenziale implicazione della realtà virtuale potesse manifestarsi nella digitalizzazione degli ambienti di lavoro, vale a dire come “rimpiazzo” tecnologicamente avanzato di programmi di video meeting e simili.  La discussione ci portò ad analizzare diverse inefficienze del tradizionale sistema lavorativo, con un particolare focus sul tempo sprecato e sull’inquinamento generato dagli spostamenti casa-lavoro.

L’obiettivo di questo aneddoto è dimostrare come già da tempo, persino per degli studenti ancora non introdotti nel mondo del lavoro, alcuni elementi del tradizionale sistema lavorativo sembrassero delle inefficienze facilmente superabili attraverso protocolli di smart working.

Negli anni diverse aziende hanno gradualmente introdotto lo smart working, ma nella gran parte dei casi, almeno per quelle che sono le mie esperienze e quelle di miei amici e conoscenti, sempre con un certo grado di timore. E lo stesso discorso, se non in maniera ancora più marcata, è valido per la scuola.

L’emergenza COVID 19 ci ha invece improvvisamente catapultati in un mondo di video call e di condivisione di documenti. Un mondo in cui il valore delle azioni di note piattaforme di video meeting schizzano alle stelle, salvo poi scoprire falle nella sicurezza delle stesse. L’avvento di un mondo a cui non eravamo preparati.

Lo smart working può essere una soluzione percorribile in maniera più massiva e frequente anche una volta terminato questo periodo di social distancing? Partiamo dai dati. Un recente articolo di Forbes mostra come la maggior parte dei lavoratori in diverse parti del mondo percepisca di essere più produttivo con lo smart working e addirittura di stare lavorando di più da casa che in ufficio/azienda. Questo primo sondaggio sembrerebbe già quasi sufficiente a rendere infondati i maggiori timori relativi allo smart working.

I dati però, per loro natura, necessitano di validazione. E la validazione richiede tempo.

Ci si apre di fronte allora, quasi paradossalmente, una straordinaria opportunità. Questo tempo sospeso di social distancing, che presumibilmente non si esaurirà nell’immediato futuro, può essere utilizzato per testare, analizzare e dare forma a quella che sarà la vita sociale post COVID. Una vita sociale nella quale certamente sempre maggiore sarà la complementarietà con la tecnologia, non più vista, come è storicamente capitato, come alternativa.

 

Il social distancing ha rotto l’inerzia, ha spazzato via i timori, ci ha catapultato in un mondo sconosciuto nel quale molti retaggi di tempi che furono sono diventati completamente irrilevanti. La tecnologia è diventata strumento cardine, mezzo imprescindibile per permetterci una vita sociale. È un momento che va sfruttato in maniera costruttiva, che va utilizzato per gettare le linee guida di quella che sarà la società del domani, nella quale la tecnologia inevitabilmente assumerà un ruolo sempre più chiave.

È tuttavia un momento che ci ricorda di quanto sia importante il contatto umano, di quanto possano mancarci semplici gesti come un abbraccio ad una persona cara. L’uomo è e rimarrà il centro di tutto, e la sfida post COVID sarà incanalare il progresso tecnologico su binari tali da renderlo funzionale al progresso sociale. E quindi, quando tutto questo sarà finito, sarà per me il tempo di mollare per un po’ smartphone e PC, fidi compagni in questo strano viaggio, e abbracciare forte la mia famiglia. Perché ad un abbraccio non ci sono alternative.


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Data e ora

15 aprile 2020