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26 marzo 2020

Dall'emergenza alle priorità: Roberto Orofino

La seconda testimonianza è un’intervista a Roberto Orofino Digital Transformation Manager presso ERSAF, Ente Strumentale della Regione Lombardia per i Servizi all'Agricoltura e alle Foreste.

L’emergenza Coronavirus ricorda all’umanità la sua vulnerabilità, sia a livello personale sia a livello di comunità sociale ed economica. Viviamo una crisi, prevista tra gli altri da Bill Gates nel 2015, che mette in discussione il nostro concetto di benessere: cosa ne pensi?

La crisi senza precedenti indubbiamente pone una riflessione profonda rispetto a quale possa essere il punto di equilibrio fra ordine (la situazione precedente) e il disordine/caos (situazione attuale). Ho sempre avuto un atteggiamento ottimistico nei confronti della vita e con lo stesso approccio ritengo che, nel pieno rispetto delle vittime, delle persone che a vari livelli stanno assumendosi il maggiore peso della crisi sulle spalle, dobbiamo avviare da subito un confronto aperto e costruttivo per studiare il nuovo assetto della società civile.

Se ci pensiamo, i temi del benessere, della resilienza, della ricerca di nuovi e sani stili di vita, della lotta ai cambiamenti climatici, della fine della corsa agli armamenti, delle ingiustizie sulla distribuzione della ricchezza, hanno sempre di più occupato i primi posti nei vari consessi internazionali, nazionali, anche di altissimo livello, negli ultimi anni.

Questa crisi ci dà un messaggio fortissimo, da cogliere come ultimo appello, ossia, che l’umanità deve intraprendere un percorso nuovo per un nuovo ordine mondiale, che parta dal perseguimento dei 17 SDGSdell’agenda ONU 2030, che non possiamo più continuare a considerare una slide utile soltanto per condire le conferenze in giro per il mondo. I 17 goals indicano già la strada molto chiara che i Paesi devono intraprendere.

Riguardo a Bill Gates, mi ha colpito la sua lucidità e incisività, perché è come se stesse raccontando quello che sta accadendo in questi giorni. Se riflettiamo però e pensiamo alle precedenti epidemie e/o pandemie, al fatto che più di due miliardi di individui siano obesi e che poco meno di un miliardo soffre ancora la fame/denutrizione, che molti Paesi siano ancora in guerra con tantissimi morti e profughi, che i sistemi sanitari siano stati (e forse oggi non più) all’altezza solo nel mondo occidentale, erano già il segnale che prima o poi sarebbe esplosa una crisi a livello mondiale, o no?

Nessuno in quel momento era in grado di valutare l’attendibilità del rischio raccontato da Bill Gates, perché in realtà si era già in presenza di crisi mondiali, ma soltanto nei Paesi poveri, e il mondo occidentale ha sempre pensato che le crisi, con anche le pandemie, potessero interessare soltanto gli altri, ossia i Paesi poveri. Ecco perché il monito di Bill Gates è rimasto inascoltato.

Quali sono le priorità su cui bisogna concentrarsi quando l’emergenza lascerà il posto alla ripresa di una “nuova normalità” e saremo chiamati a ricostruire il nostro tessuto economico e sociale?

Serve un vero e proprio “piano Marshall” economico, accompagnato da una formazione civica di livello mondiale. Ciò potrà realizzarsi grazie ad un processo di trasformazione digitale organizzato, grazie al quale sarà possibile velocizzare tutti i processi coinvolti nella fase di ricostruzione: dai processi produttivi, all’agricoltura, alla scuola, alla sicurezza, alla sanità, alla pubblica amministrazione, ecc. Un compito di tale portata richiederà un sistema politico all’altezza.

Quali opportunità stai cogliendo da questa crisi, quali elementi positivi credi di poter trarre e come pensi di valorizzare l’esperienza, sul piano professionale? Quali innovazioni derivanti dai cambiamenti in corso, in particolare nella sfera lavorativa e produttiva, credi possano rivelarsi un valore aggiunto?

Occupandomi di trasformazione digitale posso dire che la crisi non mi ha colto totalmente impreparato.

Già da almeno un anno è in atto nell’Ente in cui lavoro un processo di trasformazione digitale che ha permesso di dotare tutti i dipendenti di postazioni di lavoro adeguate e avviare la formazione su una piattaforma digitale di collaboration evoluta.

Il tutto ha consentito di porre l’80% del personale (circa 250 persone) in smart working, grazie ad una profonda revisione organizzativa messa in atto in pochissimi giorni e una formazione online erogata ad almeno 100 persone. Inoltre, la tecnologia ha anche permesso di creare altre occasioni di confronto non strettamente lavorative, al fine di mantenere positivo il clima e il benessere organizzativo, nonostante l’impatto violentissimo del cambiamento.

ll valore maggiore che ne traggo dal punto di vista professionale è dato dal fatto che finalmente nel nostro Paese può essere avviato un profondo cambiamento culturale, rappresentato da nuove modalità lavorative a tutti i livelli dei settori pubblico e privato, di cui lo smart working è da considerarsi la sintesi.

 

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Data e ora

26 marzo 2020