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12/03/2021

Onlife: diritti e competenze, doveri e responsabilità

Il diritto di avere una connettività ad alte prestazioni e il diritto a disconnettersi, il diritto a poter accedere a strumenti che rispondano alle esigenze reali degli individui e della società, l’opportunità di costruire una concreta parità tra i generi e le generazioni. Il dovere di verificare le fonti, il dovere di ripensare al modo in cui si vive nella dimensione digitale e di fare attenzione al linguaggio che usiamo online, la necessità di interrogarsi sui nuovi dilemmi morali presentati dalle tecnologie.

Sono alcuni degli spunti emersi dal dialogo tra i partecipanti all’incontro La sostenibilità è digitale, webinar dedicato ai paradigmi con cui si utilizzano le tecnologie e si equilibrano gli approcci - spesso contrastanti – alla base dell’identità e dell’agire civile che oggi appaiono sempre più integrati e interdipendenti nella dimensione phygital.

Organizzato da Fondazione Prioritalia come terza tappa degli “allenaMenti di sostenibilità”, patrocinato da ASviS, l’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile e #Inclusionedonna, l’evento ha visto la partecipazione di esperti, manager ed innovatori coordinati da Enrico Pedretti, direttore marketing e comunicazione di Manageritalia.

Ad aprire e chiudere il dibattito Marcella Mallen, presidente di Prioritalia, ha evidenziato la rinnovata attenzione al rapporto tra diritti e cittadinanza emersa nell’ultimo anno. “La pandemia ci ha mostrato la potenza e la fragilità delle tecnologie digitali, che sono allo stesso tempo un acceleratore, una potenziale minaccia e un prerequisito per accedere ai diritti: dalla salute all’istruzione, dal lavoro alla socialità”.

Sul tema dell’educazione si è concentrato Roberto Basso, direttore external affairs and sustainability di WindTre, riflettendo tra l’altro sulla responsabilità di offrire ai bambini e agli adolescenti che iniziano ad abitare nella dimensione un supporto multidimensionale in termini tecnologici, pedagogici, psicologici e didattici: “Dobbiamo insegnare ai ragazzi le gerarchie dei contenuti e delle fonti, per potersi difendere dai condizionamenti, individuare le minacce e cogliere le opportunità, orientarsi tra tutto il bene e tutto il male del mondo che si può trovare nella rete”.

Una responsabilità da esercitare alla luce dei ritardi - infrastrutturali e culturali – che l’Italia sconta rispetto agli altri Paesi europei - siamo in fondo alle classifiche UE - nonché delle disuguaglianze interne - geografiche e sociali - tra centri e periferie, giovani e anziani, uomini e donne.

Di digital gender gap ha parlato Darya Majidi, ceo Daxo Group, founder Community Donne 4.0: “Il 90% dei sistemi, delle app, dei supporti che usiamo sono pensati, creati, sviluppati e manutenute da uomini. Il software non è neutral gender”. Nonostante questo Majidi è ottimista perché la consapevolezza sui bias di genere nelle tecnologie sta aumentando e il digitale, coniugato alla ricerca della sostenibilità e all’affermazione di nuovi mindset, può accorciare il gap tra i generi e tra le generazioni in termini di occupazione e opportunità di sviluppo personale.

Parlando di diversity culturale e tecnologie Jacopo Mele, presidente della Fondazione Homo ex Machina, parla dei vari bias che condizionano lo sviluppo dell’intelligenza artificiale parla della necessità di costruire il futuro “Alla luce della capacità umana di fare cose di buon senso e di ampliare i propri orizzonti, adottando indicatori che permettano di prendere le decisioni migliori senza fare del male”. E di affrontare i dilemmi etici che le nuove tecnologie - di cui le auto a guida autonoma sono uno degli esempi più usati – ci pongono.

Anche per Davide Dal Maso, fondatore Social Warning Movimento Etico Digitale, serve un nuovo mindset: un cambiamento che dovrebbe tra l’altro favorire il dialogo tra le generazioni, oltre gli stereotipi. Dal Maso afferma che il tempo trascorso online degli under 16 è raddoppiato nell’ultimo anno e sostiene: “Tra i giovani c’è una sorta di invidia verso i tempi in cui non c’era la reputazione digitale… Il digitale è uno strumento. Dobbiamo ripensare al modo in cui ne parliamo, in cui giudichiamo il modo con gli altri lo vivono e ripensare al tempo che passiamo online, domandandoci se saremmo disposti a pagare un euro per tutti i video che ci capita di vedere, evitando così tanta spazzatura digitale”.

La ricerca della sostenibilità e l’affermazione dei diritti passano dalla capacità di filtrare i contenuti, ovvero produrli e fruirli in modo etico e responsabile anche secondo Martina Rogato, consulente e docente di sostenibilità alla Lumsa e Sherpa W20. Parlando della difficoltà di affrontare fenomeni come il revenge porn e la violenza online Rogato sostiene che: “Le grandi piattaforme non hanno sufficienti sistemi di sicurezza per prevenire questi reati. Seguono un approccio ex post mentre ci vorrebbe un approccio preventivo, cp un forte investimento nell’educazione al corretto uso del digitale”.

Un investimento non solo tecnico-economico ma anche politico che, oltre alle infrastrutture e alle dotazioni materiali, si concentri sulle persone, sulle competenze e sulle conoscenze, sui valori, sugli intangibili. Un investimento su cui il settore pubblico e gli enti regolatori – insieme alle grandi imprese - hanno un peso particolare.

La Regione Emilia Romagna viene considerata dagli esperti come un esempio virtuoso in questo senso, ha spiegato Piera Magnatti, presidente del Comitato Scientifico dell’Agenda Digitale della Regione Emilia Romagna, parlando della nuova concezione della cittadinanza digitale: “L’affermazione dei diritti oggi abbraccia diversi ambiti: le reti, la conoscenza, i servizi, i dati, l’intelligenza diffusa sul territorio. Abbiamo cercato di rendere il digitale un bene comune trasversale, mettendolo a disposizione tanto della competitività di imprese, università e centri di ricerca quanto delle persone, con l’obiettivo di integrare l’innovazione con la coesione sociale e territoriale”.

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